Gli Dei ritornano – Puntata 95

“Bravo! Hai vinto, complimenti!”
Avevo vinto, ma le parole del Caporale proprio non mi facevano sentire soddisfatto e Fulvio mi guardava con una faccia un po’ demoralizzata.
“Allora Fulvio non mi dici nulla?” Gli dissi con non molta convinzione.
“Beh, hai vinto, però non ti ho mai visto combattere così, non mi sei piaciuto proprio per nulla.”
Quelle parole che reputavo estremamente veritiere, mi ferirono più di tutto quello che mi avrebbe potuto fare un aguzzino. Abassai il capo vergognandomi di me stesso, non riuscivo a capire il perché fossi stato così flaccido. Avevo vinto solo per pura fortuna, non per merito.
Stavamo camminando per andare all’area di ristoro. Qualche boccone un po’ di relax e poi l’attesa per l’ultimo incontro della giornata, la semifinale.
Dovemmo attendere fino al primo pomeriggio prima di essere chiamati per raggiungere il luogo dello scontro che si sarebbe tenuto nel porticciolo della base.
Stavo fissando il campo di combattimento, un’area centrale di sette metri per sette con attorno e staccate di qualche metro altre quattro o cinque aree che potevano variare dal metro per il metro ai tre per tre metri.
Solo una cosa mi stava creando perplessità, erano piattaforme galleggianti sull’acqua e ancorate alla riva e al fondo, ma si muovevano a seconda delle onde e il mare che sembrava calmo non lo sarebbe rimasto per molto visto il brutto tempo che si stagliava all’orizzonte.
“Non sarai mica preoccupato per così poco è?”
Quelle parole mi fecero voltare di scatto, era il Sergente che ci aveva raggiunto. Finalmente mi era venuto a vedere.
“A dire il vero se faccio come in mattinata…”
“Si hai detto bene, se fai come questa mattina farai cagare! Poi la vergogna di una sconfitta così umiliante sarà tutta tua. Sappi che questo è un avversario molto forte…”
Lentamente abbassai lo sguardo e il sergente mi prese le spalle con le mani e strinse forte, poi stacco una mano e me la mise sulla fronte per alzarmi lo sguardo costringendomi a guardarlo negli occhi.
“…Così non può andare, o ti dai una svegliata o tutti gli sforzi che abbiamo fatto per addestrarti saranno stati inutili. Ragazzo mio, non reggi lo stress e soprattutto le critiche, devi migliorare ancora molto.”
Quelle parole, mi fecero incazzare e non poco, ero carico e pieno di rabbia, mi tolsi le scarpe e le buttai in acqua urlando “Tanto non mi servono se devo perdere.” Mi tolsi anche i pantaloni e la maglia, praticamente rimasi solo in mutande, fortunatamente erano nere e di quelle aderenti con un po’ di gamba.
Sentii una fragorosa risata partire da Fulvio e dal Caporale, così mi girai verso di loro ancora più arrabbiato.
“Cosa c’è? Ho un buco nelle mutande?”
Non riuscivano a smettere di ridere “No no, voltati verso la piattaforma e capirai.”
Mi voltai verso l’area dello scontro e sulla piattaforma vidi una cosa che mi fece raggelare il sangue nelle vene.
Una ragazza!
Certo, nessuno mi aveva detto che era una competizione per soli maschi, però dopo un po’ che uno vede solo uomini da tutte le parti, non si aspetta propri odi trovare in semifinale una ragazza e non certo una ragazza, ma quella ragazza di due sere prima che mi stava fissando e che era scappata via.
Ma questo non era mica niente, perché avrei anche potuto accettarlo fin lì, ma quella ragazza era pure uno schianto di ragazza, alta, capelli mossi e biondi, occhi verdi e tutte le curve al posto giusto e della giusta dimensione, non abbondante, anzi direi forse più sullo scarso.
Credo che lo abbiate già capito ma non doveva essere proprio la mia giornata quella.
Facendo finta di nulla e con una fitta alla bocca dello stomaco per la vergogna salii sulla piattaforma raggiungendo la mia posizione iniziale.
Lei mi squadrava dalla testa ai piedi dentro alle sue scarpe da ginnastica affusolate e alla maglietta e pantaloni aderenti al punto giusto per far smuovere in me quell’ormone che solo un ragazzo di quell’età poteva avere.
Non potevo vedermi, ma dal calore superficiale della mia faccia potevo dire che se non ero paonazzo ero addirittura oltre.
“Visto che sei già in mutande mi sembra doveroso dirti che mi chiamo Irina.” Il suo inglese con accento dell’est europeo non faceva altro che aggravare la mia situazione ormonale. Scoppiai in un riso isterico alla sua battuta, in un qualche modo dovevo sfogarmi no?
“No no scusa, non rido per te, ma per la battuta, sai sono in mutande, ma… ok, storia troppo lunga, comunque mi chiamo Mas… hem… Marco.”
Il combattimento stava per iniziare e io ero totalmente fuori fase, non ero minimamente pronto per quella sfida.