Gli Dei ritornano – Puntata 11

“Finalmente una cabina libera! E dire che siamo su di un treno notturno!”
Un’uomo di poco più di trent’anni era appena entrato di violenza nella nostra cabina.
Io francamente con ancora i nervi a fior di pelle ho fatto un sobbalzo mentre il signore di cui non conoscevo ancora il nome era rimasto impassibile e anzi sembrava aspettarsi questo ingresso.
“Allora posso sedermi qui?” Disse il nuovo arrivato.
Avrei preferito di no, ma come potevo dirlo? Che scusa avrei potuto inventarmi? E che figura ci avrei fatto con l’altro uomo?
Il problema è che avevo la senzazione di essere come in trappola e che quei due si conoscessero già benissimo.
“Prego, credo sia libero.” Risposi io dopo pochi stanti.
L’altro uomo rispose molto pacatamente “Si sieda.”
“Salve, io mi chiamo Arturo. Voi invece?” Il nuovo arrivato mi stava guardando ed esigeva una risposta.
“Io invece mi chiamo Luigi.” Non so come mai, ma mi venne istintivo non dare il mio vero nome. “E lei invece?” Aggiunsi io guardando l’altro occupante della cabina.
Mi guardò un po’ sorpreso, come se non si aspettasse quella domanda da me, ma rispose in modo garbato anche se ermetico.
“Mi chiamo Gabriele.”
Proprio in quell’istante il treno iniziò a muoversi verso la sua meta e la mia fuga stava prendendo ormai forma.
Dopo la sua risposta rimasi a fissare Gabriele per qualche secondo, volevo fargli altre domande ma non sapevo bene quali, erano come senzazioni che sentivo nascermi da dentro e che non riuscivo ad esprimere.
Arturo però interruppe queste mie elucubrazioni facendomi domande e parlando del perché andava a Roma, del suo lavoro, la sua ragazza e tanto altro, stranamente parlava solo con me e non diceva o chiedeva mai nulla a Gabriele che era praticamente sempre zitto lì assieme a noi.
Io non potevo che rispondere in maniera fantasiosa, per non destare troppi sospetti, ad Arturo e alla fine rimediai anche l’indirizzo di un Hotel poco frequentato che sembrava proprio adatto a me e che Arturo sembrava conoscere bene.
Mi stavo supendo di me stesso, perché riuscivo ad inventare fatti e situazioni coerenti e in maniera così rapida e non pensavo di esserne capace.
La cosa devo ammettere che in quel momento mi piacque molto.
Arturo alla fine mi sembrava anche simpatico ma forse troppo invadente.
La stanchezza iniziava a farsi sentire, era molto tardi e il treno viaggiava ormai spedito verso al sua meta circondato da un mondo silenzioso.
Piano piano le mie risposte rallentarono e la mia attenzione venne sempre meno finché non mi lasciai andare, anche grazie alla penombra della cabina e del paesaggio che scorreva rapidamente all’esterno, ad un sonno leggerissimo ma necessario.
La cosa strana è che non sentendomi al sicuro avevo ancora tutti i sensi attivi e potevo percepire i movimenti degli altri due che sembravano rilassati e assonnati come me, ma il mio cervello era come ovattato e i miei pensieri assolutamente assenti o lentissimi.
Quella notte era ancora lontana dal finire e mi avrebbe riservato ancora altre strane sorprese.