Gli Dei ritornano – Puntata 130

“Colonnello il soggetto è sceso all’aeroporto di Bologna e si è staccato dagli altri. Non abbiamo abbastanza uomini per gestire entrambi separati.”
“Lasciate stare il soggetto, lo recupereremo in seguito. Concentratevi quindi sulla sola eliminazione.”
“Procediamo come stabilito, aspettiamo che si portino in uno dei punti prestabiliti.”

Arrivato al cancello passai senza che mi fosse detto nulla, forse sapevano già chi fossi, anche se mi sembrava molto strano, oppure essendo in Italia c’era semplicemente molto menefreghismo.
Arrivato alla porta di quello che doveva essere il garage mi resi conto che si trattava proprio di un garage per auto di non più di 30mq.
Un po’ di delusione mi prese, però in fin dei conti che dovevo aspettarmi? Speravo solo ci fosse qualcosa di estremamente utile per aiutare gli altri che a dire il vero non avevo la minima idea di quello che sarebbe potuto accadere.
Presi la chiave, aprii la porta al fianco della saracinesca ed entrai nel garage.
La luce si accese in automatico e sul momento mi sentii trasalire dalla rabbia.
Il garage era vuoto.
Mi guardai rapidamente attorno con un ferocia crescente e vidi un tastierino numerico al fianco della porta da cui ero entrato, che si era chiusa dietro di me.
Digitai rapidamente l’unico codice che poteva anche solo avere a che fare con quell’ambiente, il mio codice di servizio del centro.
“j d … 8 1 l.”
Dalla rabbia mi ero messo a parlare tra me e me. Sembrava non succedere nulla però.
“DAI!”
Praticamente assieme alla mia esclamazione tutto il pavimento iniziò a scivolare verso il basso come fosse un’ascensore.
Nel giro di pochi secondi mi trovai più in basso di una decina di metri attorniato da un hangar sotterraneo strapieno di scatole, mezzi e armi.
“Ciao Marco!”
Quella voce io la conoscevo, era di Alberto Cavalcanti.
“Ciao Alberto, che ci fai qui?”
“Io e mio fratello Guido siamo gli addetti a questo posto, ai mezzi, alle armi e alla tua assistenza mentre li usi. Siamo i tuoi navigatori.”
Sul momento rimasi interdetto e pieno di domande, poi decisi che al momento non era importante sapere.
“Non importa, ne parliamo poi, ora mi serve una moto e qualche arma.”
“Bene, tu vai ad infilarti la tuta protettiva che io…”
“Non ho tempo per la tuta, dammi la moto.”
“No Marco, la tuta ed obbligo, fa parte della dotazione di missione. Si tratta di una tuta protettiva leggerissima e resistentissima, credo si chiami plugsuit ed mi hanno detto che è unica anche nel vero senso della parola, la tua per ora è l’unica.”
Ero troppo arrabbiato per star lì a discutere e poi non era nemmeno colpa sua.
Decisi di non perdere tempo a discutere mi infilai la plugsuit dopo essermi tolto tutti i vestiti eccetto le mutande.
Effettivamente la plugsuit era integrale, esclusa la testa, con allacciatura a zip frontale che sembrava autosigillante, era estremamente aderente, ma non tirava, anzi quasi agevolava i movimenti e non sembrava nemmeno di non averla addosso.
“Ciao Marco. Scusa se arrivo solo ora ma era il mio turno di riposo.”
Era arrivato pure Guido e si stava dirigendo verso un’area con computer e monitor che sembrava una centrale di controllo remota.
“Ecco Marco, è tutto pronto. Questo è il tuo casco, simile ad uno Shoei Syncrotec 2 ma riveduto e corretto in molte sue parti. Molto più leggero e può resistere a colpi di pistola, come del resto anche la tuta, ma non ti consiglio di sperimentarlo. La moto è una Suzuki GSX-R opportunamente modificata. Non esagerare ti prego.”
Ero rimasto senza parole, ero totalmente preso da quei ritrovati oltre ogni limite. Era tutto, moto, casco e tuta totalmente nero, un nero opaco non brillante che in penombra doveva essere assolutamente invisibile.
“Come armi non c’è molto che tu possa usare, posso consigliarti una una Desert Eagle con caricatori aggiuntivi e flash bang o fumogeni?”
“Si, potrebbe andare, ma dove me li metto?”
“Non ti preoccupare c’è anche un giubbotto apposta per la tuta.”
Mi sistemai casco, giubbotto e mi misi sulla moto ed era tutto perfetto, come se lo avessi sempre portato, la visiera poi era nera riflettente e non si sarebbe visto minimamente chi fossi. Era un armamentario perfetto per quello che dovevo fare.
“Avvisate il Centro che ci potrebbero essere problemi con Raffaele e Fulvio.”
“Non ti preoccupare, li puoi avvisare tu, ora noi ti faremo da navigatori, per qualsiasi chiedi e noi ti daremo assistenza in merito, strade, chiamate e tutto quello che ti potrebbe essere utile.”
La voce di Giulio riecheggiò nel casco come se fosse davanti a me. Alberto intanto si stava spostando verso il centro di controllo e il pavimento del garage stava risalendo per permettermi di uscire.
“Ma non c’è S.T.E. per questo?”
“S.T.E. ha avuto dei problemi e quindi ora siamo qui noi.”
In quel momento mi resi conto quei due ragazzi avevano solo 16 anni e quello a cui erano sottoposti era un qualcosa di eccessivo per la loro età, eppure sembravano accettarlo e gradirlo.
Non avevo però tempo per analizzare meglio la questione, dovevo raggiungere subito gli altri.