Ancora oggi molti miei amici si domandano come faccia ad avere una passione così radicata per le antiche automobili a combustibile fossile.
Io invece lo so, è una passione che mi ha impresso col fuoco mio nonno.
Quando ero piccolo mio nonno portava sempre me e mia sorella a fare dei lunghi giri in bicicletta e quando ci trovavamo a passare in una di quelle immense strade che già allora risultavano deserte, lui si fermava e iniziava a raccontarci incredibili storie di viaggi in macchina, duelli tra automobilisti e l’interminabile lotta contro il tempo e il traffico per raggiungere il lavoro.
Ci parlava spesso anche dello strano colore della luce solare, che non era limpida, pulita e intensa come ora, ma era meno forte e di un colore molto più tendente al rossastro anche se il calore risultante sulla pelle era molto più elevato.
Poi si perdeva nel contemplare l’orizzonte della nostra bella e rigogliosa pianura per minuti interi, io e mia sorella lo lasciavamo stare lì in silenzio finché non ci guardava e diceva la stessa identica frase tutte le volte.
“Che bello il panorama senza tutto l’inquinamento di una volta, pensate che da qua quando si vedevano gli appennini si gridava al miracolo.”
Infine si perdeva e finiva col guardare il cielo, con quegli occhi da bambino narrandoci di quei mastodontici aeroplani che bruciavano anch’essi combustibile fossile, o come lo chiamava lui, cherosene.
Ci descriveva minuto per minuto i suoi atterraggi compiuti con quei pachidermi dell’aria che di secondo in secondo percorrevano decine di chilometri e lentamente sprofondavano in quel bruttissimo lenzuolo di inquinamento che avvolgeva questa pianura verdissima pianura.
Arrivati a casa ci faceva poi vedere la sua macchina, che teneva ovviamente quasi sempre ferma e pulita nel suo garage.
Il combustibile era praticamente alla fine e costava tantissimo, solo qualche volta, contro il volere di nostro padre, che riteneva le autovetture delle bare ambulanti, ci caricava e ci portava a fare un viaggio mozzafiato a folle velocità su quelle immense strade a due, tre o addirittura quattro corsie totalmente deserte.
Il Ricordo del rumore e dell’odore di quei viaggi è fissato nel mio cervello, nei miei ricordi, come fosse stato lì sin dall’eternità e non penso che lo dimenticherò mai, anche perché è legato a mio nonno e alle bellissime avventure che ci ha fatto vivere da bambini.
Una volta ci ha portato persino a vedere quelle che venivano chiamate le gare del mondiale di Formula 1, una delle ultime fra l’altro.
Lui aveva lavorato fino alla pensione in quell’ambiente, prima come aerodinamico e infine come meccanico, conosceva tanta gente e ce ne parlava spesso dilungandosi anche lì in storie di gare contro il tempo per preparare la macchina e sperare nella vittoria finale.
Quando mio nonno alla fine è morto, una decina di anni fa, mi ha lasciato la sua macchina.
Non so esattamente il perché proprio a me e non a mio padre, però da quel giorno appena ho tempo la curo e la tengo a posto anche se ora non c’è proprio più modo di far girare il motore e farla nuovamente correre per le strade.
Ora guardando quella macchina è come se avessi compito grazie a lei incredibili avventure e l’avessi guidata in maniera selvaggia in quei tempi in cui quei mezzi erano i veri padroni del mondo.
Probabilmente lo faccio per non dimenticarmi di mio nonno, di chi era e del mondo assurdo in cui era vissuto, ma nel mio intimo non posso negare la voglia e la speranza di poter un giorno provare l’ebrezza e il potere di guidare uno di quei mostri meccanici in prima persona.