Gli Dei ritornano – Puntata 28

Il mio colpo arrivò a segno per primo, ma questo non impedì a quello presunto militare di fare fuoco.
Il mio proiettile si conficcò nella gola del malcapitato che non emise nemmeno un suono e cadde a terra privo di vita.
L’ennesimo cadavere di quella pessima giornata che non voleva proprio terminare.
L’ispettore invece fu totalmente colto alla sprovvista da quanto stava accadendo e la sua unica reazione fu quella di girarsi verso dove avevo sparato.
Il risultato fu rapido quanto brutto, un colpo netto sotto la spalla sinistra.
Il sangue fluiva copioso e il poveretto era quasi senza forze e stordito sdraiato a terra.
In quel momento ero frastornato e rimasi qualche secondo ad osservare la scena, sapevo che dovevo andarmene alla svelta, eppure ero come immobilizzato.
Alla fine decisi di avvicinarmi all’ispettore, in fin dei conti lui non aveva nulla contro di me, stava solo eseguendo il suo lavoro.
Si, in quel momento di follia collettiva in cui tutto attorno a me sembrava messo a ferro e fuoco io mi stavo preoccupando di un singolo individuo che per giunta voleva arrestarmi.
Mi avvicinai, vidi che non potevo fare nulla e l’istinto mi fece poi compiere le mosse successive.
Gli consegnai la sua pistola che aveva fatto precedentemente cadere.
“Tienila. Se altri proveranno a ucciderti con questa almeno potrai difenderti. Mi spiace ma non posso fare altro per te, devo capire che diamine mi sta succedendo.”
Dicendo quello presi e me ne andai voltandogli le spalle.
Ancora oggi giudico assolutamente da idiota e incosciente quel mio gesto, eppure mi andò bene.
Mentre giravo l’angolo mi disse “Mi chiamo Marco”.
Strano, ma quel nome mi rimase impresso come fosse stata la prima volta che lo sentivo in tutta la mia vita.
Mi misi a correre, dovevo cercare di allontanarmi il più possibile, ma non avevo una meta precisa, andavo a caso.
Non feci molti metri, ebbi solo in tempo a vedere uno scorcio del tevere alla fine di una via che una fitta mi prese al collo.
Dopo di quello ricordo solo il buio.

La ferita mi stava bruciando in maniera incredibile, la mia mano destra cercava di tamponare la ferita, per evitare di perdere troppo sangue.
Qualche altro centimetro in basso e ora non sarei più in vita.
Il ragazzo mi fissa, sembra imbambolato, ma la mia pistola mi è caduta e non posso fermarlo.
Non riesco a pensare, il dolore è troppo forte, il fiato inizia a mancarmi.
Socchiudo gli occhi e poi li riapro, il ragazzo si è avvicinato a me e mi sta allungando la mia pistola.
“Tienila. Se … ucciderti con … potrai … Mi spiace … altro per te, devo … succedendo.”
Tra il dolore e la sorpresa le sue parole risultano per me troppo difficili da capire.
Mi da le spalle, devo fermarlo è un ricercato, devo compiere il mio dovere.
Ma una parte di me inizia a farsi domande e tra il dolore e i perché mi esce dalle labbra una frase in modo totalmente automatico.
“Mi chiamo Marco.”
Perché gli stavo dicendo il mio nome?
Ormai ha svoltato l’angolo, non posso più fare nulla.
Attorno a me non c’è niente, sento solo gli spari in lontananza.
Dopo attimi di solitudine le mie forze iniziano a mancare, gli occhi sempre più pesanti iniziano a chiudersi mentre sento il sangue pulsare fuori dalla mia ferita.
“… dell’ispettore … conciato male … soggetto UE4117 … risparmiato … presto …”
Il buio mi sta circondando, non vedo e non sento più nulla.
La morte sta arrivando e non sono riuscito…